Il Sebino industriale nel XIX secolo
La lettura del territorio sebino come oggi si presenta non può non tener conto delle vicende ottocentesche e in particolare di quei processi di industrializzazione che hanno segnato profondamente il lago d’Iseo. Buona parte dell’Ottocento, almeno fino al sesto decennio, fu un periodo di crisi profonda anche localmente. Zanardelli scriveva nel 1857 di “una distretta finanziaria senza riscontro” e di “più tristi ed estreme condizioni economiche”. Tra 1852 e 1853 la crittogama della vite aveva annullato la produzione vinicola, seguita dalla Fillossera; contemporaneamente, altre invasioni parassitarie (la pebrina) colpirono le già precarie condizioni della produzione dei bachi da seta. Nei decenni precedenti si erano verificate epidemie che ricordavano i secoli più bui: nel 1816-18 e nel 1827 si era diffuso il tifo petecchiale, la scarlattina purpurea nel 1826. Infine il colera infierì nel 1836 e nel 1855. Risulta realistica la definizione di “pauperismo lungo le rive lacuali” che la Congregazione provinciale di Brescia usò in una relazione alla Luogotenenza imperiale.
In genere gli opifici occupavano i lavoranti per sei mesi o anche meno. Nel caso della trattura della seta la periodicità era la norma; il settore dipendeva infatti dall’andamento della gelsibachicoltura che dettava i ritmi delle lavorazioni. Si verificava l’integrazione tra il lavoro negli opifici e i lavori agricoli e/o domestici.
La formazione del moderno capitalismo finanziario, con la conseguente esigenza di razionalizzare il processo produttivo, per far fronte a una concorrenza sempre più pervasiva, diede avvio a un processo di mutamento epocale delle economie locali.
Attività estrattive
L’arenaria di Sarnico (detta anche pietra di Sarnico) è utilizzata nell’edificato locale e non solo. Essa ha indubbiamente influenzato la crescita materiale e culturale della località. Dal XII secolo con essa si producono manufatti utilizzati nell’edilizia, anche di pregio: si veda l’urna sepolcrale nella chiesa del monastero cluniacense di Santa Maria di Negrignano a Sarnico, ora all’interno dell’ex-manifattura sebina, collocabile agli inizi del XII secolo. La pietra di Sarnico è abbondantemente usata in edifici e monumenti in Bergamo Alta e nell’intero bacino sebino.
Le cave di Pilzone trassero vantaggio dalla costruzione della ferrovia Milano-Venezia in epoca austriaca. Dal 1856 il calcare estratto a Montecolo di Pilzone era trasportato attraverso il canale Fusia, presso Sarnico, alle fornaci del cantiere ferroviario.
Anche le torbiere del Sebino sono un ambiente costruito dal lavoro: stante la scarsità di carbone di legna nell’800 l’estrazione della torba assunse grande importanza per l’industria siderurgica e per i consumi domestici.
L’industria siderurgica
Nella seconda metà degli anni Cinquanta si insediò, tra Lovere e Castro, l’opificio di Giovanni Andrea Gregorini, grande esempio di capitano d’industria. Si sfruttava l’energia del torrente Tinazzo che aveva alimentato una precedente fonderia, oltre che dalla torba prodotta nel basso lago. Il minerale lavorato proveniva dalla Valle Camonica e dalla Val di Scalve. L’industria si sviluppò grazie alla costante attenzione alle innovazioni tecnologiche. A pochi anni dalla fondazione, l’azienda aveva 500 dipendenti. Gregorini, comprendendo la funzione dei trasporti nella crescita economica, fu fautore della ferrovia Sarnico-Palazzolo che collegasse con l’ampia valle del Po, realizzata nel 1876 contro le resistenze zanardelliane.
Il lanificio
La produzione della lana era diffusa nei comuni del Sebino (Sale Marasino e Marone) già dall’epoca veneta. Si era costituito un distretto laniero che aveva un forte caposaldo in Lovere e si distendeva fino a Gandino. Nell’Ottocento permaneva sul lago il lanificio della sponda bresciana: le aziende si approvvigionavano di lana greggia importata attraverso il porto di Trieste e in parte dalla Valle Camonica, ed esportavano il prodotto finito nel Lombardo-Veneto, in Tirolo e in Piemonte. Il lanificio ricevette un forte impulso nel corso della terza guerra d’indipendenza (1866) grazie alle commesse dell’esercito. La formazione di grandi opifici lanieri tra ‘800 e ‘900 (Lanificio di Gavardo e Lanificio di Manerbio) impose una radicale ristrutturazione. Negli anni Venti del ‘900 si costituirono le Industrie Tessili Bresciane che assorbirono le manifatture laniere sopravvissute e che dismisero le produzioni locali negli anni Sessanta.
Mezzi di trasporto e vie di comunicazione
Rilevante è il tema del capitale fisso sociale, vale a dire di quelle infrastrutture che modernizzano la produzione, innanzitutto le vie di comunicazione e i trasporti. Negli anni quaranta dell’Ottocento iniziò l’esercizio della navigazione a vapore. Il 28 febbraio 1841 un battello coprì il tragitto Lovere-Sarnico in un viaggio inaugurale. Il 19 aprile dell’anno successivo iniziò il servizio del piroscafo Arciduca Ferdinando. Nel giro di pochi anni si avvicendarono varie società di gestione, animate da un gruppo di notabili loveresi.
Si avvertiva l’esigenza di collegare queste plaghe con il grande mercato della pianura del Po e con Milano e si aprì un periodo di intenso dibattito intorno alle infrastrutture. Nel 1876 iniziò l’esercizio della Paratico-Palazzolo, per un percorso di circa 10 chilometri. Nel 1885 giunse alla sua conclusione la costruzione della linea Brescia-Iseo, ad armamento leggero: era la famosa ferrovia puntiglio, secondo la pubblicistica cattolico-moderata. Si temeva, infatti, che le tradizionali attività locali sarebbero state travolte. Al centro del dibattito ferroviario vi era anche lo scontro tra la costa bresciana e la bergamasca. Nel 1883 il consiglio comunale di Lovere chiese di aggregare la cittadina alla provincia di Brescia. Lo stesso anno fu presentato un memoriale in cui si trattava della costruzione di una linea che congiungesse il lago alla Valle Camonica. Sarebbe stato necessario collegare Iseo con Lovere per mezzo dei battelli della Società di navigazione. Da qui si sarebbe dipartita la linea ferroviaria, “utilizzando la sede della strada Nazionale del Tonale”, che sarebbe giunta a Edolo. La reazione di parte bresciana non si fece attendere, Pisogne in testa. Nonostante talune voci a favore dell’ipotesi della linea di Lovere, la Deputazione provinciale oppose un fermo rifiuto. La tratta Iseo-Pisogne fu inaugurata il 30 dicembre 1907; la linea giunse a Edolo nel 1909. Gli effetti della ferrovia sul paesaggio urbano si possono constatare agevolmente. La strada ferrata si inserisce, infatti, con la perentorietà della linea retta nella circonvoluzione dell’abitato come si era formato nel corso dei secoli.
Nel 1911 si realizzò la linea ferroviaria Iseo-Rovato. Vi era, infatti, l’esigenza di collegare il lago e la valle alla Milano-Venezia e l’armamento leggero della Brescia-Iseo non era in grado di supportare i trasporti di carattere bellico.
Significativi furono anche i mutamenti nell’assetto stradale. Tradizionalmente i collegamenti tra la pianura e la Valle Camonica avvenivano prevalentemente per via d’acqua. Le vie valeriane, infatti, non erano certamente funzionali ai trasporti di merci. Testimonianza di tale situazione è l’esistenza di uno xenodochio d’età medievale, vale a dire un ospizio per i viandanti, presso l’isoletta di San Paolo. Sulla costa occidentale la strada litoranea che collega Tavernola a Sarnico fu realizzata nel 1848, mentre il collegamento su strada con Lovere risale al 1915. Sulla riviera bresciana la litoranea era interrotta tra Iseo e Pisogne e Zanardelli osservava che, a spezzare il collegamento stradale tra Brescia e Sondrio, c’erano i 24 chilometri da Iseo a Pisogne. Non a caso la Valtellina fu tra i finanziatori della costruzione di questa tratta. L’opera, iniziata negli anni Venti, si concluse nel 1850. La costruzione comportò una ridefinizione dell’abitato presso le sponde: la grande scalinata che conduceva dal sagrato della chiesa parrocchiale di Sale Marasino direttamente a lago fu ridotta alle dimensioni attuali, come pure arretrò il muro del parco dell’adiacente villa Zirotti. Il tratto della litoranea Vello-Toline fu dismesso negli anni Sessanta del secolo scorso e resta testimonianza fruibile turisticamente.
Mauro Pennacchio