Pittura del Settecento nell’area sebina


Nell’area sebina il Settecento vede un forte incremento edilizio, pittorico e decorativo. Le chiese, in parte rinnovate all’inizio del Seicento a seguito delle visite borromaiche, vengono ulteriormente ampliate, fino a raggiungere il più delle volte dimensioni monumentali. In questi interventi sono coinvolti pittori non solo locali e anche di fama, chiamati a decorare le volte delle nuove costruzioni.

Gli artisti convocati sono di diversa provenienza e formazione e sembra che non esista un filone privilegiato: pittori emiliani, lombardi e veneti intervengono percentualmente alla pari, e ciò vale anche per i pittori bresciani e bergamaschi, che si collocano a cavallo delle varie culture figurative.

Numerosi, anche se non tutti identificabili, sono i pittori che appartengono, per ragioni stilistiche, alla schiera di artisti originari dell’area comasca e della Val d’Intelvi o del Ticino, che precedono o seguono Carlo Innocenzo Carloni, il più importante e “internazionale” degli esponenti di quel gruppo, che realizza affreschi e diverse bellissime tele a Fraine. Pittori itineranti di tradizione lombarda, caratterizzati da una fattura alquanto corsiva accompagnati da una decisa e brillante cromia, affini per certi aspetti alla produzione di Pietro e Paolo Antonio Corbellini, di Carlo e Pietro Scotti, intervengono nelle volte delle parrocchiali di Pilzone, Sulzano (qui anche nella sacrestia, 1763), Siviano, Peschiera Maraglio (nella sacrestia) e nell’oratorio di Santa Maria a Castro. In San Martino a Sarnico è presente anche l’intelvese Giulio Quaglio con un San Martino in gloria nella volta e una pala raffigurante la Visione di Sant’Antonio di Padova.

Appartiene a quel filone, sia pur con diverso stile, non tanto nella cromia, sempre accesa, quanto nei volti rotondi e quasi infantili, un pittore comasco, ma lungamente attivo prima in Piemonte e poi nel Bresciano: Giovan Francesco Gaggini dipinge nel presbiterio di San Zenone a Sale Marasino prima del 1748, parallelamente ai pittori di quadrature Giacomo Lechi (o Lecchi) e Giuseppe Castelli, entrambi di Monza, che decorano la grande cupola con architetture illusive. È possibile che la presenza di questi pittori della Lombardia occidentale abbia favorito la convocazione di un pittore di nobile famiglia, Giovan Battista Sassi, per eseguire una delle più notevoli pale del territorio sebino (1740 ca.). Milanese, ma formatosi presso il napoletano Francesco Solimena, e molto attivo per Brescia e i dintorni, Sassi dipinge per l’altare del Rosario figure vigorose ma tenere, con luminosi giochi cromatici su toni pastello. Viene da Como il poco noto Filippo Velizzi che decora a trompe l’oeil due cappelle della parrocchiale di Sale e la controfacciata di Santa Maria in Valvendra a Lovere.

Di tutt’altra provenienza sono il pittore di figure Francesco Monti e il quadraturista Giovanni Bernardo Zanardi, cui viene affidato, dopo il parziale insuccesso dei Lecchi, il completamento degli affreschi nella stessa parrocchiale di Sale Marasino, condotto fra il 1748 e il 1754. Bolognesi, formatisi con studi accademici e saldo impianto disegnativo, avevano assorbito già in patria il senso di una pittura leggera e guizzante. Vennero chiamati a Sale probabilmente a seguito del buon esito dell’impresa ad affresco di Santa Maria della Pace a Brescia (1738-1746). Zanardi in San Zenone prevede finte architetture e oculi a ospitare gli episodi sacri e le allegorie, proponendo un modello alternativo rispetto alla tipologia corrente, e prevalente, delle vicende dei santi o della Vergine entro cornici mistilinee in stucco bianco, talora con dorature.

Sulla metà del secolo Monti lavora nell’oratorio di Conche, con dipinti murali nella cupola e la pala dell’altar maggiore, purtroppo rubata nel 1974; a Zone, a Peschiera Maraglio e in San Giorgio a Lovere. Di qualche anno successivo è l’intervento nella parrocchiale di Sarnico. In tutte queste opere il pittore realizza figure eleganti che guardano al Parmigianino ma risentono anche del veneziano Giovan Battista Pittoni.

Altri due pittori, pur non essendo conterranei di Monti, aderiscono a un particolare orientamento della pittura bolognese: sono il casalese Ferdinando Cairo e il bresciano Bernardino Bono, che si ispirano al garbato classicismo di Marcantonio Franceschini, artista attivo nel Bresciano con alcune opere o attraverso la presenza di allievi. Al primo è assegnabile il rigoroso affresco con un’Allegoria nella volta della sacrestia di San Nicola di Riva di Solto; il secondo esegue, intorno alla metà del secolo, pale ed affreschi sulla costa orientale del lago e a Monte Isola e, forse, un paliotto a Predore. Le tre tele di Sale Marasino, nella parrocchiale (saldate nel 1755 e 1756) e in Sant’Antonio a Marasino, quella di Vesto di Marone (1762), una che credo gli vada assegnata a Siviano e che deriva da un modello del celebre veneziano Giovan Battista Pittoni e, infine, la Visitazione di Carzano lo indicano come segnato da un forte e statico classicismo quasi troppo convenzionale.

Altrettanto rilevante, soprattutto nella costa bergamasca, è la presenza di pittori veneti, anche di prestigio, che dà il segno dell’importanza rivestita non solo per la popolazione locale di queste nuovi edifici sacri.

Fra questi si distinguono il veneziano, ma naturalizzato bergamasco Francesco Capella, autore della bellissima pala sull’altar maggiore della parrocchiale di Sarnico, fra i capolavori della sua maturità (1765-1770 circa), dove la lezione del suo maestro Giovan Battista Tiepolo viene calata in una materia più lucente, dai contorni definiti e animata dal gioco delle ombre. A Solto Collina arriva invece, per l’altare maggiore, una grande pala del veronese Giambettino Cignaroli, quasi al termine della sua vita, tanto che l’opera, avviata nel 1770, fu portata a termine dal suo allievo Pio Piatti.

Non mancano, naturalmente, le presenze bresciane e bergamasche. Sul primo versante va segnalato Domenico Voltolini, un pittore onnipresente nel territorio di Brescia. Avvalendosi anche dell’aiuto di collaboratori, l’artista lascia affreschi, purtroppo in qualche caso successivamente ridipinti, nella volta delle parrocchiali di Marone, Pilzone, Zone, delle chiese di San Gregorio a Toline, di San Marco a Cremignane, Santa Maria del Mercato a Iseo e all’esterno del tempietto di Zone. Suoi sono anche alcuni dipinti su tela, a Marone, Pilzone (sull’altar maggiore), Paratico, in San Giorgio a Lovere, a Sulzano.

Voltolini, un po’ ripetitivo (riutilizza più volte gli stessi schemi e cartoni), continua una tradizione seicentesca legata a Francesco Paglia, rifiutando in un certo senso lo stile “barocchetto” ma scegliendo una materia trasparente e segnata dalle ombre che è forse l’aspetto più interessante della sua pittura.

Più rara è invece la presenza di Antonio e Angelo Paglia, figli di Francesco: il primo firma e data due belle pale nei toni del rosa, dell’azzurro e del grigio perla, a Cremignane d’Iseo (1729) e alla Madonna della Ceriola a Monte Isola (1733), ed esegue probabilmente un San Francesco di Paola ora nella sacrestia della chiesa di Peschiera Maraglio; al secondo sono stati da tempo riconosciuti due incantevoli ovati con lo Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria e le Sante Lucia e Agata a fianco dell’altar maggiore di San Gregorio.

Un più forte legame con il rococò si manifesta nella pala del clarense Clemente Tortelli (quarto decennio) sull’altar maggiore di San Martino a Marone, di cui costituisce il gioiello più prezioso per la stesura luminosa e la materia pittorica lievitante, desunti dalla conoscenza dei veneziani Sebastiano Ricci e Gian Antonio Pellegrini.

Infine, solo in parte si sono salvati da integrazioni successive gli affreschi di Francesco Savanni, allievo bresciano di Monti, approdato verso la metà del Settecento a uno stile piacevolmente narrativo con forti scorci, nelle volte della parrocchiale di Tavernola.

Fra i bergamaschi è da segnalare Antonio Cifrondi, di Clusone, presente a Lovere in San Giorgio (1710-1712), in Santa Maria in Valvendra e in San Giovanni in Monte Cala con dipinti di rapida stesura e non privi di accenti naturalistici, come suo solito.

Un picco d’eccellenza consiste nella bella pala, purtroppo anonima, con l’Estasi di santa Teresa in Santa Maria della Neve a Predore, dalle interessanti connotazioni napoletane. Pure di autore ignoto ma di grande qualità è la paletta con le Sante Lucia e Apollonia in San Pietro di Paratico.

Le scelte figurative continuano a orientarsi anche fra la fine del XVIII secolo e l’inizio del successivo, verso il barocchetto anche in anni inoltrati e segnati in altri luoghi dal neoclassicismo. Ne sono prova le opere di Vincenzo Angelo Orelli, originario di Locarno ma attivo per lo più nella Bergamasca, che viene incaricato di eseguire nel 1798 a Tavernola la pala con la Comunione di Santa Maria Maddalena e ancora nel 1813 affreschi in Santa Maria a Solto Collina, oggi purtroppo ridipinti; vicina al suo operato è anche la pala di Santa Maria della Neve a Predore. Più incline al rigore neoclassico, sia pur in proporzioni controllate e ancora legate alla tradizione settecentesca, è il salodiano Sante Cattaneo, che firma la volta del presbiterio di Santa Maria Assunta a Pisogne (1798) ed esegue nel 1808 la pala dell’altare di San Luigi Gonzaga a Tavernola, probabilmente, i Misteri del Rosario nella parrocchiale di Marone e forse in parte quelli di Sulzano.

Per trovare un pittore più vicino al nuovo linguaggio neoclassico, occorrerà chiamare il mantovano Felice Campi, figura di prestigio presso l’Accademia della sua città, a dipingere un’Assunta nella parrocchiale di Pisogne, con il vincolo, però di riprendere il modello cinquecentesco, e certo non classicista, del Correggio nel Duomo di Parma.

 

Fiorella Frisoni

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