Chiesa di San Gregorio a Toline
San Gregorio a Toline, posta su un piccolo sagrato, quasi un balcone sul lago, era in origine una cappella che dipendeva, ancora nel 1430, dalla pieve di Pisogne; in seguito (prima del 1463) ottenne l’autonomia e il titolo di parrocchia. Negli atti della visita pastorale del vescovo Pandolfini (1562) sono citati due altari laterali, di Santo Stefano e della Madonna. Il vescovo Pilati (1573), tra le varie disposizioni, prescrisse d’imbiancare le pareti ove non vi fossero gli affreschi. Lo stato di povertà della fabbrica, dato forse dall’esigua popolazione che poteva contribuire al sostentamento, è documentato nella relazione di Giorgio Celeri (1578): il campanile non era terminato, non vi erano il tabernacolo e la sagrestia, il battistero non era nelle forme consone, il pavimento e il tetto erano disconnessi tanto che entrava acqua all’interno. Carlo Borromeo (1580) ordinava la costruzione di un battistero vicino alla sacrestia, d’ingrandire l’altare maggiore dotandolo di una pala decente e vari interventi strutturali e acquisti di dotazioni, ma che furono disattesi per mancanza di denaro. L’edificio fu interessato da una modifica architettonica durante la cura dei parroci Ludovico Belleri (1682-1692) e Vito Piazzoni (1692-1708).
La chiesa guarda verso il lago e presenta il presbiterio rivolto a sud-est. La facciata, offre una piacevole soluzione decorativa: l’austero impianto seicentesco con timpano alla sommità retto da paraste di ordine gigante, entrambi decorati con stucchi, è smorzato da una bifora disegnata da un ricco apparato decorativo in pietra di Sarnico. Dello stesso materiale è il portale a timpano spezzato con il bassorilievo centrale di San Gregorio sormontato dal simbolo IHS. Sul fianco destro si inserisce un porticato, retto da colonne in pietra con archi a tutto sesto, aperto su due lati; sulla parete vi sono i resti di un grande San Cristoforo affrescato nel 1504 che ben si confà alla posizione, in quanto la copertura poteva forse essere un riparo per i viandanti che transitavano dal passo di Zone.
L’interno ad aula unica è impreziosito da varie opere settecentesche, ma i lavori condotti negli scorsi decenni hanno riportato a vista vari affreschi, opera di almeno tre distinti autori; databili per la maggior parte a cavallo tra XV e XVI secolo testimoniano la fase precedente dell’edificio e sembra che si possano ricondurre alle immagini viste e citate nelle visite pastorali cinquecentesche. I soggetti sono perlopiù i santi guaritori e protettori dalla peste quali Rocco e Sebastiano, ma vi sono altri santi come Apollonia e un personaggio con lungo abito da riconoscere forse in san Pantaleone. In particolare un affresco sembra riproporre lo schema con Rocco e i santi Sebastiano e Pantaleone ai lati, stagliati su una veduta paesaggistica, secondo uno schema presente pure nell’affresco nell’oratorio di Peschiera Maraglio a Monte Isola.
L’altare maggiore in marmo è di Giacomo Selva di Riva di Solto, realizzato nel 1708-1709 (ha subito alcune modifiche nel XX secolo).
La bottega dei Fantoni interviene per il coro ligneo, nel 1709, e, nel 1740, per un ciborio con due angeli, oggi posto a coronamento dell’altare. Ad Andrea Fantoni si deve il progetto per la spettacolare soasa (cornice) dell’altare maggiore, commissionata solo nel 1730-1731 e conclusa entro il 1756. La pala, attribuita a Bernardino Gandino, rappresenta la Vergine in trono con Bambino e i santi Rocco, Gregorio, Bartolomeo, Sebastiano.
Collocato in una cappella riccamente decorata con stucchi di notevole qualità, l’altare della Madonna – di Giovanni Canavale e Giacomo Selva, 1708 – è di fattura pregevole per il paliotto e l’alzata in marmo; nella nicchia è esposta la Vergine con Bambino, preziosa opera di intaglio di Andrea Fantoni; il tutto è completato dalla serie di piccoli dipinti, olio su rame, con i Misteri del Rosario. Alle pareti sono appese due discrete tele, forse di Giovanni Chizzoletti, rappresentanti Santa Caterina da Siena e San Domenico. Nella volta della navata e del presbiterio sono presenti affreschi di Domenico Voltolini.
Federico Troletti