Chiese sul Sebino dall’Alto Medioevo al Trecento
Il territorio sebino svolse nel Medioevo il complesso ruolo di cerniera tra Brescia e Bergamo, in particolare nella fascia meridionale e alla confluenza della Val Cavallina nella Valle Camonica. Conseguenza dell’attenzione dei poteri laici ed ecclesiastici verso queste aree fu una significativa presenza aristocratica che diede forma al proprio controllo territoriale attraverso l’edilizia fortificata e la costruzione di luoghi di culto e sepoltura.
Questo fenomeno di lunga durata – almeno dall’VIII-IX al XII secolo – si inserisce in quello ancor più lungo e complesso dell’articolazione ecclesiastica, fortemente condizionata dalla differente morfologia del territorio. Sulla sponda orientale, dopo la fondazione forse già in età tardoantica della pieve di Iseo, si assiste allo sviluppo della pieve di Vallis Renovata (l’attuale Sale Marasino) e, nell’XI secolo, della pieve di Pisogne: le pievi estendevano la giurisdizione su un territorio con centri abitati di qualche consistenza diffusi sia sulla sponda del lago, sia a mezza costa. Al contrario, la più ripida e meno popolata sponda bergamasca fino all’inizio del Duecento rimase priva di sedi pievane e fu sottoposta alla giurisdizione delle pievi di Telgate e Castelli Calepio a sud e di Mologno (l’odierna Casazza in Val Cavallina) a nord; Lovere e il contrastato territorio della Costa e di Volpino furono soggetti alla pieve bresciana di Rogno, in Val Camonica. Solo tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII assunse funzione pievana Santa Maria di Solto Collina.
Del ricco tessuto di fondazioni medievali restano numerose testimonianze soprattutto nella fascia meridionale del Sebino: le chiese altomedievali di fondazione privata che caratterizzano l’area della Val Calepio e della Franciacorta si riconoscono nel passaggio tra la Val Calepio e il territorio sebino nella chiesa di San Nazaro di Castione e sulla sponda lacustre in San Giorgio a Predore; a queste si deve aggiungere San Giorgio a Gallinarga di Tavernola, privata e attualmente non visitabile; altomedievale e forse pure di origine privata è la fase più antica di San Cassiano di Gargarino. Sono chiese isolate, di piccole dimensioni con aula quadrangolare e abside semicircolare e si riconoscono per la tecnica muraria apparentemente povera, in materiale appena sbozzato; tutte subirono ampliamenti o interventi di monumentalizzazione e decorazione in età romanica, non di rado accompagnati dalla realizzazione di cicli pittorici di rilevante interesse. Non è da escludere un’origine analoga per la chiesa di San Martino a Lovere, costruita in blocchi appena sbozzati di tufo ai margini della necropoli romana e ora sconsacrata e pesantemente trasformata. Sulla sponda bresciana di fondazione privata è San Martino in Prada di Iseo, sorta in VII secolo, che acquisì poi funzioni diverse, legate all’ospitalità.
Contemporanea fu l’espansione sul lago dei grandi monasteri bresciani, in particolare di San Salvatore/Santa Giulia e dei Santi Faustino e Giovita: i possedimenti non sembrano però accompagnarsi a fondazioni religiose e nessun edificio di culto era connesso, ad esempio, alla peschiera di Sarnico o alle case di Iseo documentate nel X secolo tra i beni di Santa Giulia.
All’inizio dell’XI secolo, nel contesto delle prime lotte per la Riforma della Chiesa, si colloca l’espansione del monastero bresciano di Sant’Eufemia della Fonte; il fondatore, il vescovo Landolfo, oppositore delle istanze riformiste, gli affidò aree significative per il controllo del territorio diocesano: sul lago d’Iseo il monastero acquisì o fondò le cappelle di Sant’Eufemia di Vello e di Santa Maria del Giogo nel percorso di collegamento tra Iseo e la Val Trompia. La cappella di Vello, con il suo campanile ben conservato, offre una testimonianza significativa dell’architettura ecclesiastica dell’XI secolo e un utile termine di confronto per la cronologia del monumentale campanile di San Pietro di Tavernola. Qui su una massiccia struttura di base con una muratura in blocchi sommariamente sbozzati, si imposta una torre con lesene angolari in blocchi tagliati di tufo (ora mascherati all’esterno dal rivestimento cementizio), conclusa da una cella con sostegni di incerta fattura del tutto simili a quelli in opera a Vello. La muratura romanica si rintraccia anche all’interno della chiesa nell’arcosolio sul fianco nord e all’esterno nel lato sud, a conferma che l’intera aula appartiene alla fase medievale.
A un momento appena successivo appartengono le numerose fondazioni cluniacensi del territorio sebino: ai grandi monasteri cluniacensi di San Paolo d’Argon (1079) e di Rodengo (entro il 1095) si affiancano nel giro di pochi anni le cappelle e i priorati di Santa Maria di Negrignano a Sarnico (1081), San Pietro in Lamosa di Provaglio (1083), di San Paolo sull’isola omonima (1091), e dei Santi Gervasio e Protasio di Clusane di Iseo (1093). Nel 1095 sono documentate anche le cappelle cluniacensi di Sarnico (delle tre documentate sono identificabili Santa Maria di Nigrignano, tuttora esistente ma radicalmente trasformata, e forse San Paolo, nell’area del castello) e Paratico (forse San Pietro). Queste cappelle testimoniano da un lato l’adesione delle aristocrazie alla Riforma della Chiesa, che per questa via riuscirono anche a mantenere il controllo delle proprie fondazioni religiose e delle connesse rendite in un momento di profonda trasformazione della Chiesa.
La presenza cluniacense ebbe una grande portata per lo sviluppo dell’architettura romanica del territorio, anche se entro il XV secolo gli insediamenti monastici vennero travolti dalla crisi e scomparvero o vennero sostituiti da altri ordini. L’utilizzo di volte e di strutture complesse come avancorpi, tiburi o torri sul presbiterio come documentato a San Paolo d’Argon e come ricostruibile a San Pietro in Lamosa (coperta da volte e preceduta da un avancorpo) corrisponde a una fase di maturo sviluppo delle capacità costruttive delle maestranze lombarde.
Un esito significativo delle competenze tecnico-edilizie e delle soluzioni elaborate in XI secolo è la pieve di Sant’Andrea di Iseo, con la monumentale torre di facciata e la documentata presenza di una cripta in cui erano venerati i resti del vescovo Vigilio. Sant’Andrea con le sue fasi costruttive tra XI e XII secolo e le annesse strutture della pieve (case canonicali e battistero) e della corte vescovile (San Silvestro e il palazzetto antistante di cui restano poche tracce murarie) si colloca in pieno nel fenomeno di ricostruzione dei complessi pievani connesso alla riaffermazione del potere vescovile. Allo stesso processo appartiene la fondazione della pieve di Pisogne (metà XI secolo) e la ricostruzione di San Zenone a Sale Marasino. Della prima gli scavi archeologici hanno restituito un impianto di grande respiro con cripta e una planimetria a tre navate delle stesse dimensioni della chiesa attuale: la chiesa che sostituiva un edificio di culto altomedievale pure non privo di rilevanza documentato dall’impronta di un elemento scultoreo altomedievale reimpiegato nella cripta romanica. In parte superstite è anche la casa canonica, con strutture di XI-XIII secolo. San Zenone a Sale Marasino – di cui si conservano il campanile e la canonica – potrebbe forse rappresentare invece un caso di trasferimento della sede pievana: sembra attestarlo il toponimo Vallis Renovata con il quale è ricordata nel XII secolo e la distribuzione dei rinvenimenti romani e altomedievali pressoché esclusivamente nelle aree di mezza costa che suggeriscono una trasformazione delle dinamiche insediative tra X e XI secolo.
Alla fine XII-pieno XIII appartengono le strutture della parrocchiale di Santa Maria Assunta a Paratico, documentata però dal X secolo, e l’abside di San Michele a Cambianica: la regolarità dei conci, perfettamente squadrati e posti in opera con giunti sottilissimi, e il risalto pronunciato delle membrature (lesene e archetti) segnano il punto di arrivo di un lungo percorso, che non vede nel Sebino significative testimonianze architettoniche trecentesche. Per questo periodo più significativi sono i cicli pittorici: accanto alla divulgazione di matrice popolare del linguaggio giottesco legata alla figura del Maestro di Cambianica va segnalato un isolato, ma notevolissimo, frammento di ben più alta qualità in San Pietro a Tavernola, che attesta una ricezione assai più attenta del plasticismo giottesco.
Monica Ibsen
Per saperne di più:
BREDA A., GREGORI G.L., ROSSI F., Sul riutilizzo medievale del’antico: il monumento funerario di Ti. Claudio Numa a Pisogne (BS), in “Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti”, LXXIII (2000-2001), pp. 199-212.
PIVA P., Iseo. Pieve di Sant’Andrea e nucleo vescovile, in Lombardia romanica. Paesaggi monumentali, a cura di R. Cassanelli, P. Piva, Milano 2011, pp. 240-242.
SCIREA F., San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo, in Lombardia romanica. Paesaggi monumentali, a cura di R. Cassanelli, P. Piva, Milano 2011, pp. 243-244.