Chiesa di San Martino


L’antica chiesa parrocchiale di Sarnico, di fondazione medievale e ristrutturata nei primi decenni del Cinquecento, fu abbattuta nel 1727 per far posto al nuovo edificio, più grande e luminoso, al fine di far fronte alle nuove esigenze di una comunità in costante espansione.

L’architetto Luca Lucchini, di origine ticinese ma presto trasferitosi a Bergamo, progettò l’attuale struttura conservando la vecchia facciata, integrata nel nuovo prospetto laterale, e mantenendo il solido basamento del campanile, costruito nel 1592 e sopraelevato nel 1869. Dopo cinque anni la parrocchiale era in uso, anche se spoglia delle decorazioni e priva della facciata, terminata solo nel 1777 su disegno di un ignoto architetto.

Il prospetto di San Martino è uno degli esempi di facciata di gusto barocchetto più slanciati dell’area del Sebino; le cornici e le lesene che aggettano su due livelli differenti, i tre livelli progressivamente ridotti del fronte e il timpano ricurvo e spezzato, conferiscono all’insieme un grande slancio verticale; le nicchie con le statue dei santi patroni e il ricco portale sottolineano, con un raffinato gioco chiaroscurale, il movimento architettonico dell’insieme. Le modanature in pietra di Sarnico sono una costante nelle parrocchiali dell’area lombarda. Le sculture della facciata sono riferibili alla bottega di Giovanni Sanz, uno dei più noti scultori lombardi del XVIII secolo, autore del coro ligneo della Cappella Colleoni a Bergamo e nel Sebino attivo nella parrocchiale di Santa Maria Maddalena a Tavernola.

Nella chiesa ben si leggono i principi ispiratori del ticinese Lucchini, che meglio verranno specificati nelle parrocchiali di Cene e Nembro, caratterizzate da un impianto sobriamente mosso nelle linee perimetrali, in un’ampia e luminosa navata corredata da cappelle laterali poco profonde. A Sarnico, la campata centrale è un po’ più profonda rispetto alle altre, con un effetto di grande respiro.

Nel corso del Novecento si proseguì nell’opera di restauro e di modifica della parrocchiale. Tra 1903 e 1909, lo stuccatore lodigiano Aristide Secchi ridefinì l’assetto decorativo generale della chiesa, con inserti, cornici e statue che rafforzarono in senso decisamente barocco il più sobrio assetto voluto da Lucchini due secoli prima. Assieme alle dorature e ai fregi perimetrali, Secchi si occupò anche di restaurare gli affreschi settecenteschi, apportando sostanziali modifiche; il complesso dell’operazione rese l’interno molto più unitario, ma compromise i dipinti originari di Francesco Monti, che sono emersi solo recentemente, dopo un lungo e accurato restauro. Il pittore bolognese aveva dipinto i quattro Evangelisti nella cupola centrale e le quattro Virtù in quella del presbiterio (1753-1754); ben documentati dalle fonti bresciane, costituiscono uno splendido esempio di quel barocchetto sobrio e luminoso che tanto piaceva alle province venete di Terraferma.

Il prestigio del cantiere della parrocchiale è testimoniato dai pittori ai quali furono richiesti i dipinti degli altari e delle cappelle. La pala maggiore è uno dei capolavori bergamaschi del veneziano Francesco Capella, riferibile alla sua tarda attività (1765-1770 circa); raffigura San Martino vescovo con l’imperatore Valentiniano e testimonia la fortuna che l’arte di Tiepolo, che Capella ben conosceva, riscosse nel territorio bergamasco dopo gli interventi nella Cappella Colleoni.

Il San Francesco in estasi sostenuto dagli angeli, degli anni Trenta del Seicento, è un bel dipinto recentemente restituito alla mano di Giovan Battista Discepoli, detto lo Zoppo da Lugano, in cui si riconosce il forte pathos che l’artista aveva maturato a contatto con l’arte milanese del secolo precedente.

Proviene dalla prima parrocchiale la grande pala con la Madonna col Bambino e santi Carlo Borromeo, Francesco, Bernardino e Martino di Francesco Cavagna nella terza cappella a sinistra, riferibile ai primi decenni del ‘600.

Ad Andrea Fantoni e alla sua bottega sono riferiti il paliotto in marmo bianco dell’altare maggiore (1715) e la Madonna con Bambino in legno dorato all’altare del Rosario.

 

Fiorenzo Fisogni

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