Chiesa di Santa Maria della Neve
La chiesa di Santa Maria della Neve, edificata nel tardo Quattrocento, era collocata fuori dal centro abitato allo snodo di due principali assi viari e commerciali, la strada ‘Valleriana’ che conduceva ai passi alpini e la via che portava alle miniere e in Val Trompia. Il luogo era un punto di transito movimentato e l’edificio era un santuario mariano molto frequentato. Per questo, nei primi anni Trenta del Cinquecento, si procede al suo rinnovamento totale: al corpo centrale vengono addossati due portici per il riparo e l’accoglienza dei pellegrini, e al portico sud una cappella terminale. Tre finestroni gotici vengono tamponati per ottenere superfici continue adatte all’esecuzione del nuovo apparato decorativo.
La datazione di questi interventi è legata alla notizia di un credito contratto nel 1534 da Girolamo Romanino con i rappresentanti della Vicinia pisognese, un organismo laicale che si occupava della chiesa di proprietà civica. Intorno a questo riferimento cronologico si collocano l’avvio del cantiere e la realizzazione dei dipinti: un’operazione di notevole impegno sia per il tema sia per le dimensioni di una decorazione che coinvolge l’intero edificio.
All’esterno, a nord, sulla sinistra guardando la facciata, si possono ancora oggi osservare le tracce del portico abbattuto verso il 1830 e i resti dell’intonaco su cui Romanino aveva dipinto una grande Adorazione dei Magi. Di questa scena, strappata nel 1880, restano due porzioni esposte nel presbiterio e note come Il Corteo dei Magi e Il corteo dei Re. Lo spazio del portico sud, sulla destra, chiuso nel XVI secolo, ha da allora assolto la funzione di cappella privata. Pochi resti dell’intervento di Romanino, un ciclo incentrato sul tema del martirio, si trovano in un vano limitrofo alla torre campanaria, un tempo sacello terminale. In loco restano il frammento di un Cristo alla colonna e tracce di un decoro a finti marmi; gli strappi provenienti dalla cappella sono conservati nel Municipio del paese.
L’aula interamente decorata restituisce appieno il senso dell’operazione di rinnovamento totale della chiesa attuata dalla Vicinia di Pisogne. Resta escluso dall’intervento di Romanino soltanto il coro, dove sono tornati in luce brani di sinopie risalenti a un ciclo tardoquattrocentesco raffigurante storie legate alla dedicazione mariana della chiesa.
L’interno è scandito da archi traversi che dividono lo spazio in tre campate interamente coperte dalla narrazione dipinta. La pittura si estende sulla parete di fondo, l’arco presbiteriale e la volta, ripartita in vele da un’intelaiatura illusionistica. Entrando, ci si trova immersi in un complesso itinerario dedicato alla meditazione e alla preghiera sui singoli “misteri” cristologici. La riflessione sull’Incarnazione e la Passione del Salvatore viene anticipata nella volta da cui si sporgono figure di Profeti e Sibille con cartigli in parte scritti in latino in parte segnati da caratteri incomprensibili. Completano la decorazione putti a monocromo nei pennacchi e altri profeti sugli arconi che scandiscono le campate.
Il racconto presenta gli episodi salienti della storia di Cristo: la Crocifissione sulla controfacciata, l’Orazione nell’orto, L’Ecce homo, l’Andata al Calvario sulla parete nord, la Resurrezione, la Discesa al Limbo e l’Ascensione sulla parete sud. A queste ampie scene che occupano interamente la superficie delimitata dagli archi acuti si affiancano altri episodi, di misura inferiore, nella zoccolatura: da nord, La cena in casa di Simone e Cristo davanti a Pilato; in corrispondenza della Crocifissione, la Flagellazione e l’Incoronazione di spine; sulla parete sud, l’Entrata in Gerusalemme, la Lavanda dei Piedi e l’Ultima cena. Le scene alte e basse sono vincolate da una relazione reciproca: gli episodi della storia sacra non sono infatti disposti in successione cronologica, ma organizzati secondo un sistema di corrispondenze tra il dipinto maggiore e quello minore e di incrocio fra le scene affrontate nelle singole campate.
Da Pisogne prende avvio una nuova stagione espressiva di Romanino segnata dall’uso delle forme anatomiche distorte, dal tratto abbozzato e dai tocchi di colore saturo. Siamo di fronte a una pittura veloce, sprezzante, in linea con uno degli orientamenti culturali più all’avanguardia degli anni Trenta del Cinquecento.
Sara Marazzani