Santuario di Santa Maria del Giogo
Dal santuario di Santa Maria del Giogo, a 968 m d’altezza, si gode una stupenda vista panoramica sia sul Sebino sia sulla Val Trompia; l’edificio è posizionato sull’antica via di transito che collegava il bacino del Sebino alla Val Trompia e a Brescia, dove si incontrano i confini di tre comuni: Sulzano, Polaveno e Gardone Val Trompia.
La documentazione d’archivio testimonia la presenza di un edificio religioso già nel 1367 quando Santa Maria del Giogo risulta tra le dipendenze del monastero bresciano di Sant’Eufemia. La sua primaria funzione era il soccorso a coloro che per varie ragioni, perlopiù agricole e silvo-pastorali, si trovavano su questo importante camminamento. La presenza benedettina fu pure arricchita, tra il 1537 e il 1538, dalla figura del letterato Teofilo Folengo autore del Baldus, poema in latino maccheronico.
Durante la visita del legato apostolico Carlo Borromeo nel 1580 si rileva che la chiesa, distante due miglia dalla parrocchiale, era piccola e indecente, dotata di tre altari ma priva di sagrestia. Presso la chiesa c’era una stalla per cavalli e buoi. Nella casa annessa, abbastanza comoda, abitavano due monaci; il cardinale ricorda anche la dipendenza da Sant’Eufemia di Brescia. Il cardinale aggiunge che “questo è il luogo del monastero di Sant’Eufemia di Brescia”.
Nel 1797, con l’avvento della Repubblica Bresciana e la soppressione del monastero bresciano, la chiesa evitò d’essere alienata e venduta “rimanendo così a pubblico comodo di quella popolazione”. Si aprì però una contesa sulla proprietà dell’edificio tra le parrocchie di Sulzano, Gardone Valtrompia e Polaveno che si concluse nella revisione censuaria del 13 agosto 1809 con l’assegnazione della chiesa alla comunità di Polaveno.
L’edificio, ad aula unica, rispecchia una tipologia d’insediamento religioso essenziale nelle linee architettoniche. La facciata è a capanna con tetto a doppio spiovente, portale d’ingresso, oculo circolare e un portico, con copertura a vela e due finestre, quale riparo per viandanti con accesso da un arco a tutto sesto. Il campanile collocato sul lato sinistro, a fronte della facciata, fu restaurato nel 1842 perché colpito da un fulmine. Addossata alla parete sud c’è una casa colonica.
L’aula è rettangolare con l’orientamento invertito rispetto all’assetto antico: infatti, in origine il presbiterio si sviluppava dove ora è l’ingresso. La navata presenta una scansione di archi a sesto acuto poggianti su contrafforti, che sorreggono un tetto a travature lignee (rifatto nel 1976). Lo spazio è cadenzato in tre campate, l’ultima delle quali occupata dalla zona presbiterale leggermente sopraelevata. L’altare ha un trittico in stucco bianco di impostazione settecentesca contornato da testine di angeli e cherubini. Nelle tre nicchie sono presenti le statue lignee della Vergine, della bottega dei Poisa (secolo XX), e di San Bartolomeo, protettore di fattori, macellai, conciatori, e San Benedetto, fondatore dell’ordine benedettino.
Sulle pareti della navata si trovano su più strati d’intonaco lacerti di affreschi, degradati in più punti, eseguiti da pittori itineranti da collocarsi tra la fine del Trecento e gli inizi del Cinquecento. Sono l’espressione di una devozione popolare, dalle caratteristiche tipologiche e stilistiche di ex voto con immagini della Vergine in trono con il Bambino e ai lati i santi venerati dal popolo: Sant’Antonio abate, San Bartolomeo, San Rocco, Santa Lucia, nella maggior parte dei casi di impostazione tardogotica. Di particolare interesse è il lacerto dell’Ultima cena, tema non ricorrente tra gli ex voto. Gli affreschi sono racchiusi in semplici cornici dipinte con il nome del committente e la data di esecuzione. Gli ultimi restauri dell’apparato decorativo risalgono al 2011.
Antonio Burlotti