Chiesa di San Pietro
L’origine romanica di San Pietro, parrocchiale di Tavernola fino al 1570, è intuibile solo da alcune murature e dal campanile; l’edificio subì, infatti, varie trasformazioni durante i secoli.
Anche la pianta, con corpi di fabbrica aggregati al primo nucleo, conferma una crescita non omogenea nel tempo. L’interno è a navata unica con tetto a due falde, in legno a vista, poggiante su un arco in muratura a sesto acuto; in controfacciata si conserva la loggia in muratura sostenuta da due volte a crociera che scaricano sulle pareti e su una colonna centrale. Il presbiterio quadrangolare è coperto da una volta a crociera a sesto acuto parzialmente affrescata nel ‘400 con Cristo pantocratore e i simboli degli evangelisti Giovanni e Luca. La parete di fondo è interamente occupata dalla Crocifissione fra i santi Pietro e Paolo, dipinta da un ignoto maestro operante a fine XV secolo; nel ‘700 alla parete fu addossato l’altare che distrusse alcune porzioni di intonaco celandone altre sotto la pala. La mensa e il paliotto, dotato di angeli telamone, sono di Giulio Selva (1693) e qui trasportati dalla parrocchiale di Santa Maria Maddalena; la cornice è in stucco. Rimossa recentemente la pala della Traditio legis sono riapparsi la croce con la Maddalena e parte delle figure di Cristo, della Vergine e di san Giovanni. L’opera è una piacevole combinazione tra citazioni architettoniche, spesso prospetticamente non ben orchestrate, e un’ambientazione paesaggistica alla lombarda con una ‘geologia’ mantegnesca. Questa sorta di versione provinciale di modelli bramanteschi testimonia la volontà da parte dei committenti locali di aggiornare l’apparato pittorico della chiesa alle tendenze dei capoluoghi della cultura lombarda. Sulla stessa linea si pone la Madonna con Bambino (parete destra presbiterio) voluta dalla famiglia Foresti nel 1497, in cui la Vergine di gusto gotico (si vedano il manto e il basamento del trono) è inserita in un’architettura riempita con tutto quanto era possibile desumere dall’armamentario dei pezzi rinascimentali.
Al principio del secondo decennio del ’500, Girolamo Romanino esegue due dipinti murali raffiguranti rispettivamente la Madonna col Bambino, san Giorgio, san Maurizio e i santi Pietro e Paolo che presentano gli offerenti e una Crocifissione. Il primo, sulla parete sinistra del presbiterio, si presenta al visitatore come una grande scena corale con la Vergine in alto, al centro, al culmine di una scalinata fra san Giorgio, a sinistra, e san Maurizio, a destra. Sul registro inferiore i santi Pietro e Paolo completano la rappresentazione introducendo due distinti gruppi di un potentato locale, identificabile forse con quello dei Fenaroli. Il secondo dipinto è collocato nella parte alta della controfacciata. Si tratta di un lavoro non terminato, abbandonato in corso d’opera e in seguito coperto da uno strato d’intonaco imbiancato, sotto il quale si possono oggi riconoscere pochi frammenti riferibili a una Crocifissione con astanti: i tasselli d’ispezione hanno, infatti, messo in luce parti del perizoma, di una gamba e di un braccio del Cristo, alcune piccole porzioni della croce e della cornice modanata che inquadra la scena. Il brano più ampio, visibile da tempo e raffigurante tre teste maschili, ha catalizzato per anni le attenzioni degli studiosi al punto che venne considerato un dipinto isolato e non parte di un insieme.
L’impostazione monumentale, la prospettiva centrale, l’uso di finiture a tratteggi lunghi e grafici, memori delle stampe e della tradizione nordica, e colorati, di ascendenza veneziana, sono le principali caratteristiche che inducono a propendere per una datazione agli anni dell’attività giovanile del pittore, forse al 1512, quando Romanino, probabilmente esule da una Brescia saccheggiata dalle truppe francesi, sosta a Tavernola. Non molto però. Nei primi mesi del 1513 è già a Padova. Lo ritroveremo sul Sebino due decenni dopo, a Pisogne, intorno al 1534.
Le due cappelle laterali della chiesa sono da ricondurre alle modifiche del ‘700: quella a destra, delle anime del Purgatorio, offre una decorazione in stucco piuttosto rara per il Sebino, mentre la sinistra ha forme già neoclassiche.
Sara Marazzani, Federico Troletti